Viking Trail: alla scoperta di un Canada differente

Viking Trail: alla scoperta di un Canada differente
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Ricordate quando a scuola, durante quelle noiose lezioni, ci insegnavano la composizione della Terra? Ricordate come la parte più interna si chiami nucleo, quella su cui camminiamo crosta, e a dividere i due troviamo il mantello? In Canada c’è un posto in cui, mentre il vento ti soffia forte sulla faccia impedendoti di stare fermo, quando tu vorresti solamente goderti la pace di quel villaggio di case di legno colorate, su un pezzo di mantello puoi passeggiarci.

Nella parte occidentale della remota provincia canadese del Newfoundland (o Terranova) sorge infatti il Parco Nazionale del Gros Morne, la cui unicità geologica, così come la spettacolarità dei suoi paesaggi, un insieme di coste, montagne, fiordi, foreste e laghi, lo hanno reso un patrimonio mondiale dell’umanità.

Dal momento stesso in cui l’aereo su cui viaggiavo ha iniziato a sorvolare le coste del Newfoundland ho capito che il luogo in cui stavo andando era qualcosa di diverso dal Canada che avevo visto finora. Le montagne innevate, le interminabili foreste di conifere e i corsi d’acqua ghiacciati, in una soleggiata mattina di inizio maggio, mi hanno fatto capire che ero più a nord di quanto fossi mai stato in vita mia. Il primo impatto che ho avuto con la cittadina di Rocky Harbour, uno dei più grandi centri abitati della zona, ma con una popolazione inferiore ai 1000 abitanti, è stato vedere persone eccitate catapultarsi fuori dalle proprie case, attratte dal suono di una sirena dei vigili del fuoco. Perché, come mi è stato detto poco dopo da una ragazza preoccupata, “questo è un evento raro a Rocky Harbour”.

Vita semplice, pesca e attività all’aria aperta sono le parole d’ordine di luoghi in cui l’unico ristorante aperto del villaggio, se sei così fortunato da trovarne uno, ha lo stesso identico menu di tutti agli altri ristoranti in tutti gli altri villaggi. Perché è poco ciò che l’agricoltura produce, e il pesce disponibile sulla tavola dipende da quanto produttiva è stata la mattinata dei pescatori della zona. “Il costo della vita in Newfoundland è basso perché non sappiamo come spendere i nostri soldi”. Mi spiega un’amichevole addetta al parco mentre mi spiega quali sono i sentieri percorribili e quali quelli ancora coperti dalla neve. “Da ottobre a maggio qui è tutto chiuso, sono pochissime le cose da fare. Ma sono nata e cresciuta qui, non cambierei la mia vita per niente al mondo”.

Il parco nazionale del Gros Morne è attraversato dalla Route 430, conosciuta più comunemente con il nome di Viking Trail. La strada collega la città di Deer Lake, ai limiti del parco nazionale e sede del principale aeroporto della zona, con St. Anthony, nel punto più settentrionale della provincia. Il suo percorso include 415 chilometri colmi di paesaggi mozzafiato, dove l’oceano costellato di iceberg è sormontato dalle montagne innevate, e dove branchi di caribù pascolano tranquillamente l’erba emersa dallo scioglimento della neve. I centri abitati lungo la strada sono rari e molto piccoli, le case, molto distanti le une dalle altre, sono arredate con il minimo indispensabile, spesso corna di alce sono appese sulla porta. Sul vialetto, parcheggiate accanto alle automobili, ci sono le motoslitte indispensabili durante i mesi invernali.

L’isolamento non ha però impedito a queste persone di essere tra le più gentili che mi sia capitato di incontrare. La proprietà privata è pressoché inesistente, sostituita dal rispetto reciproco. Percorrendo la strada, mentre lo scioglimento dei ghiacci creava delle cascate sulle pareti rocciose, sono stato attratto da una piccola comunità di pescatori costruita sulla costa, alle basi della scogliera. Saranno state una decina di case, al massimo. Era una giornata soleggiata e quasi tutti gli abitanti erano in riva al mare a raccontarsi di passate battute di pesca. Uno di loro districava le reti, controllando soddisfatto il bottino della giornata, mentre un paio erano al largo a scattare foto al luccicante iceberg che era apparso nel mezzo dell’oceano. Non ero sicuro se avvicinarmi o meno, d’altronde quella spiaggia era il loro cortile, e la strada sterrata il vialetto di casa loro. Invece non appena mi hanno notato mi hanno invitato ad avvicinarmi, chiedendomi cosa mi avesse portato lì e invitandomi a comportarmi come se fossi a casa mia, a patto che non rompessi nulla.

Procedendo verso nord la vegetazione si diradava, la neve aumentava e il paesaggio assumeva sempre più un aspetto artico. Gli iceberg, prima dei rari momenti di bianco che interrompevano l’azzurra immensità dell’oceano, ora apparivano a decine, a contrastare il rosso e il blu delle case sullo sfondo. A Port au Choix, una delle principali fonti di pesce della provincia, nonché sede di un importante sito archeologico preistorico, la neve era ancora alta. Il faro bianco e rosso svettava sul limite della scogliera come monito per i marinai, a farci compagnia solo gli uccelli marini, le onde, e quell’alce le cui impronte battevano la neve fresca che ricopriva il sentiero tra i boschi. Il senso di pace che quel luogo ha creato in me è qualcosa di indescrivibile, sarei potuto rimanere lì per ore con i piedi nell’erba gialla ad ascoltare il rumore delle onde che si infrangevano contro la parete rocciosa.

Quando è quasi giunta al termine, il Viking Trail curva improvvisamente verso est, lasciandosi l’oceano alle spalle e entrando in quella che sembra essere un’infinita foresta di sempreverdi, con i rami afflosciati dal peso della neve. Qui i pescatori lasciano spazio ai boscaioli, che approfittano della fine dell’inverno per accumulare legna per riscaldarsi durante l’inverno che verrà. Una deviazione dalla strada principale conduce all’ultimo punto di grande interesse prima di giungere a destinazione. Nel punto più settentrionale dell’isola di Newfoundland sorge infatti l’Anse aux Meadows, il più antico insediamento europeo in Nord America. Qui infatti si trovano i resti dell’unico villaggio vichingo al di fuori della Groenlandia, fondato circa quattro secoli prima del viaggio di Colombo. Le capanne di fango emergono a malapena dalla neve che le ricopre quasi del tutto, mentre i raggi del sole riflettono sull’oceano ghiacciato.

Sono solo 20 gli abitanti del villaggio di Hay Cove, uno dei tanti minuscoli insediamenti nei pressi del sito archeologico. Solo 20 persone, tra cui un solo bambino, che vivono nella bellezza e nel silenzio di quelle lande innevate. Durante l’estate la neve andrà via e i turisti arriveranno interrompendo la pace ma facendo girare l’economia, così che quei venti uomini potranno affrontare un nuovo inverno. È una vita diversa, quella lungo il Viking Trail, una vita che scoraggerebbe chiunque venga da una grande città, una vita fatta di persone gentili e coraggiose, e che amano il luogo in cui vivono. Nei cinque giorni spesi lì ogni mia preoccupazione è venuta meno, svanita insieme agli alci, tra i boschi innevati.

 

 

 

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Manuel D'Antonio

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